Introduzione.
Questa ricerca-studio sugli ecomusei, con uno sguardo focalizzato in particolare al caso
siciliano, prende corpo durante le ore di tirocinio curriculare, del corso Magistrale di Antropologia
Culturale ed Etnologia dell’Università degli Studi di Torino, trascorse presso il Laboratorio
Ecomusei della Regione Piemonte a Torino.
Il lavoro si articola prevalentemente lungo tre tappe, non sempre legate al rigore prestabilito.
In primo luogo ho analizzato il ruolo degli ecomusei sul territorio e le generalità di cui si
compongono, le leggi regionali e le definizioni classiche. In secondo luogo ci occuperemo del modo
in cui è possibile adattare alcuni modelli ecomuseali (e nello specifico quelli piemontesi) al contesto
siciliano, dove tuttora manca una legislazione in materia. Ho analizzato, infine, il caso del Museo
Civico “I Luoghi del Lavoro Contadino” del Comune di Buscemi (Siracusa) e “La Casa Museo
Antonino Uccello” di Palazzolo Acreide (Siracusa) entrambi inseriti nel sito web della Regione
Piemonte Ecomusei.net dal 20021.
Ho proposto, alla fine, un duplice argomento che cerca di proporre innanzitutto una
normativa per il territorio siciliano con l’intenzione di applicare il modello al caso specifico di
Buscemi e di Palazzolo Acreide.
1. Gli Ecomusei, generalità.
L’interesse per la tradizione agropastorale, e non solo, si caratterizza, in Italia, fin dalla fine
degli anni ‘80 del novecento (Cfr. Bravo, Tucci, 2011:13-27) attorno a strutture che possiamo
definire musei “contadini”, “locali”, “etnografici”, “della memoria” (gli esempi potrebbero
continuare) di dimensioni varie, in cui sono esposti principalmente reperti che riguardano il lavoro
preindustriale: coltivatori, pastori, pescatori, fabbri, minatori, bottai, carbonai, ecc.
La crescita numerica di queste realtà è stata singolarmente rapida e diffusa. Nel 1985 un
Primo censimento dei musei etno-agricoli in Italia ne rileva circa 150 (Togni, Forni, Pisani,
1997:11). Nei primi anni novanta, attraverso un altro censimento L’Italia dei musei: indagine su un
patrimonio sommerso (Primicerio, 1991) – che prende in considerazione tutti i tipi di musei –, se ne
registrano ben 3.311, quasi tutti costituiti al nord.
Affianco a questi complessi sorgono, intorno agli anni ‘70 – soprattutto in Francia –, gli
Ecomusei che rappresentano una vera e propria emergenza culturale. È infatti necessario risalire al
lavoro museografico e organizzativo di Georges-Henri Rivière e più tardi di Hugues De Varine che,
oltre a coniare il “nuovo termine” nella primavera del 1971 (De Varine, 2005: pp. 43 ss. e post-
1 L’itinerario del Museo Civico “I Luoghi del Lavoro Contadino” del Comune di Buscemi (Siracusa) è consultabile al link
http://www.ecomusei.net/itinerario-i-luoghi-del-lavoro-contadino (ultima consultazione 24/05/2013).“La Casa Museo
Antonino Uccello” di Palazzolo Acreide (Siracusa) è possibile raggiungerla attraverso il link
http://www.ecomusei.net/ecomuseo-casa-museo-antonino-uccello (ultima consultazione 24/05/2013).
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fazione di D. Jallà), realizza un progetto che intende mettere in rilievo il rapporto tra territorio,
ambiente e popolazione recuperando un grande centro carbonifero e metallurgico, quello di Les
Creusot (Saône-et-Loire) in Borgogna, e un vecchio carcere utilizzato nella Seconda Guerra
Mondiale dai tedeschi come luogo di detenzione per ebrei, perseguitati e condannati a morte: Les
Fresnes (De Varine, 2005).
Senza nulla togliere alla validità di molteplici conclusioni, mi sembra importante riportare la
prima definizione pubblicata da Georges-Henri Rivière nel 22 gennaio del 1980 nella sua interezza:
«Un écomusée est un instrument qu’un pouvoir et une population conçoivent, fabriquent
et exploitent ensemble. Ce pouvoir, avec les experts, les facilités, les ressources qu’il
fournit. Cette population, selon ses aspirations, ses savoirs, ses facultés d’approche. Un
miroir où cette population se regarde, pour s’y reconnaître, où elle recherche
l’explication du territoire auquel elle est attachée, jointe à celle des populations qui
l’ont précédée, dans la discontinuité ou la continuité des générations. Un miroir que
cette population tend à ses hôtes, pour s’en faire mieux comprendre, dans le respect de
son travail, de ses comportements, de son intimité. Une expression de l’homme et de la
nature. L’homme y est interprété dans son milieu naturel. La nature l’est dans sa
sauvagerie, mais telle aussi que la société traditionnelle et la société industri elle l’ont
adaptée à leur image. Une expression du temps, quand l’explication remonte en deçà du
temps où l’homme est apparu, s’étage à travers les temps préhistoriques et historiques
qu’il a vécus, débouche sur le temps qu’il vit. Avec une ouverture sur les temps de
demain, sans que, pour autant, l’écomusée se pose en décideur, mais en l’occurrence,
joue un role d’information et d’analyse critique. Une interprétation de l’espace.
D’espaces privilégiés, où s’arrêter, où cheminer. Un laboratoire, dans la mesure où il
contribue à l’étude historique et contemporaine de cette population et de son milieu et
favorise la formation de spécialistes dans ces domaines, en coopération avec les
organisations extérieures de recherche. Un conservatoire dans le mesure où il aide à la
préservation et à la mise en valeur du patrimoine naturel et culturel de cette population.
Une école, dans la mesure où il associe cette population à ses actions d’étude et de
protection, où il l’incite à mieux appréhender les problèmes de son propre avenir. Ce
laboratoire, ce conservatoire, cette école s’inspirent de principes communs. La culture
dont ils se réclament est à entendre en son sens le plus large, et ils s’attachent à en faire
connaître la dignité et l’expression artistique, de quelque couche de la population qu’en
émanent les manifestations. La diversité en est sans limite, tant les données diffèrent
d’un échantillon à l’autre. Ils ne s’enferment pas en eux-mêmes, ils reçoivent et
donnent»2.
Sebbene questa sia la definizione principalmente adoperata dalla maggior parte dei
museografi, per chiarire il ruolo di un ecomuseo, essa non deve essere utilizzata in maniera troppo
stringente, proprio per le caratteristiche “evolutive” a cui la definizione stessa si richiama. Tutto ciò
2 Georges Henri Rivière, citato nel volume: Territoires de la mémoire, les collections du patrimoine ethnologique dans
les ècomuées , sous la direction de Marc Augè, postface de Claude Lévi-Strauss, Édition dell’Albaron et Fems, 1992, p.7
(ripreso da: La Muséologie selon Georges Henri Rivière, Dunond, Paris, 1989).
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fa in modo che il “contenitore” ecomuseo non sia chiuso e statico nella sua struttura, ma dinamico
ed aperto: con i suoi programmi di ricerche, mostre, interventi, itinerari in cui coabitano, o possono
convivere (come in Piemonte), diversi e variegati complessi ecomuseali.
Gli ecomusei contribuiscono al mantenimento della tradizione locale, ma allo stesso tempo
si aprono agli spazi urbani, alle organizzazioni e alle istituzioni moderne, alle produzioni industriali,
all’ambiente, promuovendo la ricerca attraverso apporti multidisciplinari.
In Italia, l’ecomuseo non è ancora molto diffuso, ci è giunto da pochi anni per “contagio
culturale” del quale ne è stata data una esemplificazione, soprattutto, come strumento di tutela e
valorizzazione del patrimonio storico-culturale ed ambientale del territorio di una comunità locale
(Cfr. G. Pinna, 2001). In particolare, il messaggio dell’ecomuseo ha trovato terreno fertile in alcune
regioni italiane, quali il Piemonte (che è stata la prima Regione ad approvare una legge intesa a
coordinare, qualificare e sostenere le attività degli ecomusei e dal 1995 ad oggi conta il più alto
numero di ecomusei del Paese3), il Trentino (Gozzer, 2004:8-9) e il Friuli Venezia Giulia. Inoltre
delle 20 Regioni d’Italia solo dieci (e la Provincia Autonoma di Trento, Cfr. Provincia Autonoma di
Trento, 2003) si sono munite di legislazioni. Tali leggi sostengono la tipologia del progetto
ecomuseale che, riprendendo la definizione del presidente dell’ICOM De Varine, deve
corrispondere ad «un’istituzione che gestisce, studia, utilizza a scopi scientifici, educativi e culturali
in genere, il patrimonio complessivo di una comunità. L’ecomuseo è quindi uno strumento di
partecipazione popolare alla gestione del territorio e allo sviluppo comunitario. A tal fine si avvale
di tutti gli strumenti e i metodi disponibili per consentire alla comunità di cogliere, analizzare,
criticare e governare in modo libero e responsabile i problemi che le si pongono in tutti gli ambiti di
vita quotidiana, delle situazioni concrete. Esso è innanzitutto un fattore di cambiamento voluto» (De
Varine, 2005: 56).
2. Gli Ecomusei, particolarità.
Ma cosa fanno gli Ecomusei?
Se volessimo partire dalla lunga definizione di G.H. Rivière, enunciata precedentemente, un
ecomuseo è uno strumento che un’autorità pubblica e una popolazione locale utilizzano insieme per
riappropriarsi del proprio territorio. Esso è da una parte specchio per riconoscersi su un determinato
spazio ma anche immagine per farsi conoscere agli ospiti. È un modo di vivere e concepire i luoghi,
dove soffermarsi e dove camminare, in cui si ripercorrono i tempi e la storia fino ad arrivare ai
giorni d’oggi (Cfr. supra).
Per comprendere al meglio l’entourage ecomuseale dovremo in prima analisi capire il
rapporto che lega una comunità al suo territorio, utilizzando esempi concreti di realtà che ad oggi
rappresentano modelli utili all’analisi quantitativa e qualitativa.
L’evidenza ecomuseale che si struttura su un territorio, travalicando il più delle volte il
limite giurisdizionalmente definito, non può che essere, in ultima analisi, un’esigenza che muova
dalla stessa popolazione locale – dal basso – e miri al rapporto col proprio territorio (Cfr. Bonato,
2009: 1-30).
3 Per un quadro completo degli ecomusei piemontesi si veda il sito web: http://www.ecomusei.net (ultima consultazione
24/05/2013).
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Su questo punto, ad esempio, sono molto utili le indagini effettuate attraverso l’utilizzo di
parish maps, o mappe di comunità (Bonato, 2009; Zola, 2009), dedicate ad uno specifico territorio
dal cui patrimonio risaltano i contorni, si rappresentano oggetti, materiali e immateriali – ritenuti
rilevanti dalla stessa popolazione locale – e si mette in evidenza la relazione tra questi, i luoghi e le
persone, rendendo visibili legami nascosti (Cfr. Murtas, 2006: 68-70). Una parish map mette in
risalto come uno specifico luogo possa essere «pensato, descritto, esperito attraverso una pluralità di
forme di rappresentazione» (Casti, Corona, 2004: 8), e quindi come i suoi abitanti percepiscono e
attribuiscono valore al paesaggio, alle sue memorie, alle sue trasformazioni passate che interessano
anche il futuro.
Oggi lo scopo non è più solo la conservazione della memoria passata, minacciata dallo
sviluppo industriale o dalla globalizzazione (così com’era inteso il lavoro dei demologi degli anni
’30), altre finalità si sono affiancate a quelle originarie: la creazione di nuovi strumenti di
coinvolgimento e di progettazione partecipata, la ricerca di traiettorie utili per uno sviluppo
sostenibile, il carattere dell’identità locale (e non solo nazionale). Quest’ultimo aspetto è
particolarmente importante per l’esperienza degli ecomusei, talvolta definiti – non a caso –, «musei
di identità» (Cfr. Maggi, 2001: 10-12).
Tra le tecniche di cui fare uso per garantire la tutela del patrimonio locale vi è la mappa di
comunità che rappresenta: uno strumento collettivo con cui la comunità locale vede, percepisce e
attribuisce senso (e valore) al proprio territorio e paesaggio4.
Risulta difficile conoscere e valorizzare un patrimonio culturale locale, materiale ed
immateriale, senza coinvolgere in maniera attiva la comunità interessata da questo progetto. Le
mappe sono «strumenti privilegiati di raccolta e auto-rappresentazione dal punto di vista delle
comunità insediate sul proprio spazio di vita» (Maggi, 2006: 54), uno spazio dinamico dov’è
possibile conoscere storie, fatti, vicende di luoghi (che si possono anche esplorare) intrecciate alle
inevitabili trasformazioni susseguitesi nel corso del tempo. Una mappa di comunità, riproducendo la
realtà complessa della località, presenta i luoghi, gli eventi, le persone lungo un percorso che si
snoda nello spazio e nel tempo. Inoltre, esse offrono uno strumento efficace, semplice, diretto e
accessibile a tutti. L’utilizzo delle mappe di comunità, da parte di alcuni ecomusei, ha portato, nel
corso di questi anni, al raggiungimento di obiettivi importanti che hanno favorito l’integrazione e la
partecipazione attiva delle persone alla vita della propria comunità, sostenendo reti territoriali
finalizzate alla scoperta dell’identità locale e favorendo un approccio positivo al territorio anche da
parte delle generazioni più giovani (Cfr. Testa, 2009: 60).
La consapevolezza che viene fuori dall’esistenza di un complesso patrimonio culturale
locale, materiale ed immateriale, strettamente legato al territorio rappresenta il genius loci di quella
comunità. Questo “senso del territorio”, «dell’identità locale, è ciò che in ultima analisi rende una
persona felice o infelice di abitare in un certo posto, che la convince a rimanere o a emigrare, a
lavorare con gli altri o a isolarsi» (Maggi 2001: 11).
Riconoscere il patrimonio culturale insito in un determinato territorio porta inevitabilmente
alla sua valorizzazione; importante è allora utilizzare il Primo rapporto sugli ecomusei in Piemonte
4 Questa la conclusione del dibattito sorto durante il seminario organizzato dall’Ecomuseo delle Acque del Gemonese
sulla Catalogazione e Valorizzazione del patrimonio locale, Gemona del Friuli (UD), 10-11 giugno 2013.
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redatto dal Laboratorio Ecomusei e dell’IRES Piemonte nel 2001, per entrare nel merito di un
impianto di gestione ecomuseale5 (IRES Piemonte, 2001).
Seppur non entrando nel merito degli interventi redatti dal Laboratorio Ecomusei di Torino
sui singoli casi ecomuseali del Rapporto (IRES Piemonte, 2001: 15-191) è importante soffermarsi
su alcune considerazioni che vengono fuori soprattutto per quanto riguarda il rapporto con la
comunità locale, che compare in ogni singola scheda ecomuseale. Il coinvolgimento attivo della
comunità locale (obiettivi perseguiti nello spirito della L.R. n. 31/95) messo in atto dagli ecomusei
ha visto la partecipazione di enti pubblici e privati, di organizzazioni, di associazioni, curie,
università, centri di ricerca e di numerose persone interessate, tra cui gli anziani, veri e propri
protagonisti indiscussi.
Le attività di un ecomuseo si possono così suddividere in due tipologie principali che si
basano sul tipo di investimento effettuato: quello culturale, da una parte, e quello economico,
dall’altra.
Per quanto concerne l’aspetto culturale (per il termine “cultura” si veda Matera, 2008), la
partecipazione attiva delle comunità locali alle iniziative organizzate dagli ecomusei risulta elevata.
In particolare si registra la forte presenza di scuole (con programmi didattici) e il coinvolgimento
degli anziani. Restringendo lo sguardo all’osservazione ecomuseale piemontese, possiamo
constatare l’importanza dei risultati raggiunti. Fra i primi effetti positivi c’è quello di aver messo in
moto, o rafforzato – laddove già esistevano –, processi locali di riconoscimento del patrimonio,
favorendo la nascita di numerose iniziative di recupero e valorizzazione di singole emergenze
(come il restauro di borgate o ambienti architettonici) investendo anche in progetti di maggiore
respiro (ricostituendo ad esempio il ruolo degli antichi mestieri, delle feste e del folclore popolare,
ma anche in campo linguistico-dialettale). In molti casi si tratta di iniziative che coinvolgono il
territorio nella sua totalità, così, le filiere agricole corte, i centri di produzione artigianale (insieme
ai lasciti e alle donazioni, per lo sviluppo degli ambienti ecomuseali) hanno trovato l’occasione per
dialogare con la società civile in generale (imprese, associazioni, istituzioni pubbliche) (Cfr. IRES
Piemonte, 2001: 207-210).
Per ciò che interessa l’investimento di tipo economico si nota, dal Rapporto, che la maggior
parte delle istituzioni locali hanno partecipato attivamente agli sviluppi delle iniziative con rapporti
di tipo «ufficiale» e/o «convenzioni» fra i diversi enti locali (comuni, fondazioni, associazioni,
curie).
Gli ecomusei in questo modo stanno dimostrando di essere efficaci strumenti di costruzione
di reti locali, le cosiddette “reti corte”, dove i prodotti culturali – spesso re-inventati, attorno alle
nozioni (a loro volta inventate, Cfr. Hobsbawm, 1983: 1-14) di tradizione, autenticità e diversità
prototipica (Cfr. Grasseni, 2007) – rappresentano singolarità di un’economia eco-sostenibile
applicata al territorio.
L’accresciuta attenzione degli amministratori e tecnici locali verso aspetti patrimoniali
sono stati valutati positivamente, non solo per le possibili ricadute economiche di breve periodo6,
5 Il Rapporto è frutto del lavoro del Laboratorio Ecomusei coordinato dall’IRES Piemonte ma anche dal Comitato
Scientifico Ecomusei Piemonte.
6 L’azione degli ecomusei nella Regione Piemonte ha consentito, nei vent’anni di attività, la valorizzazione e l’apertura
di una settantina di siti culturali (musei, edifici produttivi recuperati, paesaggi di pregio, ecc.) con un totale
complessivo annuale di circa 130.000 visitatori, cui si aggiungono circa 4.500 ricercatori e studenti che si rivolgono ai
centri di documentazione (biblioteche, mediateche, ecc.) attivati dagli stessi ecomusei. Intensa l’attività con le scuole,
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spesso legate a progetti turistici, ma anche in funzione del miglioramento della qualità della vita dei
residenti e del rafforzamento del carattere antropico del territorio.
Parallelamente è andata consolidandosi la disponibilità di ottenere competenze tecniche
orientate alla valorizzazione e all’interpretazione del patrimonio locale, mettendo spesso in atto un
vero e proprio contagio positivo nei confronti di altri ambiti di progettazione locale. Così oltre ai
pendolari (Bravo, 2006: 54), cioè quelle persone che si fanno promotori e attori della tradizione
locale, e i facilitatori (Fassio, 2009: 50), ovvero quegli intermediari che fungono da collante tra
realtà differenti (come ad esempio il Museo e la Pubblica Amministrazione), troviamo gli specialisti
in beni DEA che tentano di connettere le conoscenze antropologiche, etnografiche e storiche con le
competenze museografiche e catalografiche, da un lato, e quelle progettuali e gestionali, dall’altro.
Figure estremamente importanti in un’ottica di strategia sostenibile, in cui la professionalità
determina, come vedremo, il fallimento o il successo dell’intero progetto.
3. Le Legislazioni sugli Ecomusei.
A livello nazionale non è stata ancora varata una legge in materia ecomuseale, del resto solo
nel 2004 il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, noto come “Codice Urbani” (D. lgs. n. 42 del
22 gennaio 2004 e successive modifiche), riconosce l’esistenza dei Beni Demoetnoantropologici
all’interno della normativa, pur mantenendo alcune contraddizioni recondite (cfr. Bravo, 2011: 74-
76).
Le leggi che si occupano di ecomusei infatti sono esclusivamente regionali.
1) Regione Piemonte, L.R. n. 31 del 14 marzo 1995, “Istituzione di Ecomusei del
Piemonte”. La legge è stata integrata e modificata con L.R. n. 23 del 17 agosto 1998.
2) Provincia Autonoma di Trento, L.P. n. 13 del 9 novembre 2000, “Istituzione degli
ecomusei per la valorizzazione della cultura e delle tradizioni locali”.
3) Regione Friuli Venezia Giulia, L.R. n. 10 del 20 giugno 2006, “Istituzione degli
Ecomusei del Friuli Venezia Giulia”.
4) Regione Sardegna, L.R. n. 14 del 20 settembre 2006, “Norme in materia di beni culturali,
istituti e luoghi della cultura”.
5) Regione Lombardia, L.R. n. 13 del 12 luglio 2007, “Riconoscimento degli ecomusei per
la valorizzazione della cultura e delle tradizioni locali ai fini ambientali, paesaggistici,
culturali, turistici ed economici”.
6) Regione Umbria, L.R. n. 34 del 14 dicembre 2007, “Promozione e disciplina degli
ecomusei”.
7) Regione Molise, L.R. n. 11 del 28 Aprile 2008, “Istituzione di ecomusei in Molise”.
8) Regione Toscana, L.R. n. 21 del 25 Febbraio 2010, “Testo unico delle disposizioni in
materia di beni, istituti e attività culturali”.
con oltre 70 mila studenti coinvolti ogni anno nelle attività e nei progetti didattici, con evidenti ricadute occupazionali
grazie all’indotto portato dai flussi di turismo scolastico. Gli ecomusei svolgono inoltre una parte consistente delle loro
attività direttamente sul territorio, con l’organizzazione di eventi culturali ed escursioni, con un totale di oltre 85 mila
partecipanti. A questo pubblico di oltre 280 mila fruitori diretti si aggiungono quanti (150 mila) fruiscono annualmente
dell’attività di informazione tramite il web (Cfr. Comunicato Stampa, Rete Ecomusei Piemonte 30 Novembre 2012,
Torino).
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9) Regione Puglia, L.R. n. 15 del 6 Luglio 2010, ““Istituzione degli ecomusei della Puglia”.
10) Regione Veneto, L.R. n. 30 del 10 Agosto 2012, “Istituzione, disciplina e promozione
degli ecomusei”.
11) Regione Calabria, L.R. n. 62 del 4 dicembre 2012, “Istituzione di Ecomusei in
Calabria”.
Pur non entrando nel merito di ciascuna legge (si v. in part. Riva, 2008: 141-163), la
situazione degli ecomusei italiani appare dinamica ed assai articolata da regione a regione. Oltre
all’apparente somiglianza dei testi normativi, che riprendono interi commi dalla legge Regionale del
Piemonte, vi sono in realtà provvedimenti che cercano di introdurre innovazioni e modifiche
piuttosto importanti, cercando di adattare un modello legislativo a specifiche politiche regionali.
Se la legge della Regione Piemonte, la prima in questo campo, ha avuto il merito di
riconoscere la dignità di un organismo ecomuseale, ma anche di una rete vera e propria, quelle
tridentina e friulana hanno incorporato molti aspetti della stessa senza sostanziale discontinuità.
Innanzitutto si evidenza il riconoscimento “simbolico” (e quindi una definizione anche del termine
ecomuseo) distinto da altre forme di valorizzazione del patrimonio culturale. In secondo luogo le
“linee guida” che favoriscono comportamenti comuni per l’accesso alle risorse ed ai finanziamenti,
ed, infine, le iniziative che muovono nel rispetto reciproco fra i vari enti (Cfr. Maggi, Dondona
2006:10-12).
Osservando i contenuti di queste leggi possiamo capire che si tratta di atti normativi che
cercano di rivalutare le diverse tipologie di beni culturali presenti sul proprio territorio, non solo
quelle architettoniche/archeologiche, ma anche quelle specificamente etno-antropologiche. Si tratta
di uno sforzo che le politiche pubbliche, in materia culturale, hanno affrontato quasi ovunque in
Europa (Cfr. Maggi, 2002).
Sulle ultime leggi c’è da notare che la Regione Lombardia ha dato un indirizzo più specifico
sugli ecomusei, riconoscendone lo statuto, l’operato e l’importanza peculiare per il proprio territorio
(su questa scia anche la legge regionale della Calabria), mentre quella della Regione Sardegna, che
non interessa i soli ecomusei (come pure anche quella Toscana), li ha identificati all’interno delle
tre tipologie di beni culturali, accanto cioè a quelli museali tradizionali ed archeologici (Cfr.
Becucci, 2007: 24-26).
Un punto su cui soffermarsi è costituito dal ruolo del “Comitato Scientifico” strutturato,
secondo scopi specifici, dalle leggi regionali in materia. Nel Bullettino Ufficiale della Regione
Calabria dell’1 dicembre 2012, ad esempio, oltre all’Istituzione e al Riconoscimento degli
Ecomusei (Art. 1), si istituisce, all’Art.3, il «gruppo di lavoro ecomusei» composto da un
archeologo, un esperto di antropologia storica e culturale, un esperto informatico, un esperto di
turismo e uno di Business plan e Project cycle management (P.C.M.) (Cfr. BUR n. 22 dell’1
dicembre 2012, supplemento straordinario n. 4 dell’11 dicembre 2012, Art. 3). Il gruppo di lavoro,
o comitato scientifico (come ad esempio viene definito nell’Art. 3 della L.R. n. 31/95 del Piemonte,
composto da sei membri: tre indicati dall’Università degli Studi di Torino, tre dal Politecnico di
Torino) è uno strumento di supporto tecnico e scientifico utile alla programmazione regionale in
materia ecomuseale e rappresenta, a seconda dei casi, un anello di congiunzione tra la Pubblica
Amministrazione e il territorio.
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Siracusa.
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A questo punto sarebbe ragionevole interrogarsi sull’opportunità di avere una legge quadro
nazionale in materia ecomuseale, che possa, come già accaduto per gli Enti Parco Naturali,
accelerare e incoraggiare i processi legislativi ancora in fase di prima gestazione, nonché favorire
una riflessione sui temi quali territorio, patto e comunità (Cfr. Maggi, 2002: 9).
Ad oggi le criticità delle leggi regionali restano ancorate ad esperienze territorializzate.
Sebbene le regioni che hanno legiferato in materia ecomuseale abbiano compiuto passi propositivi
nel campo del recupero, della valorizzazione dei luoghi e delle tradizioni, i processi di
miglioramento restano fissati alla staticità di cui la stessa legge soffre, soggetta quindi a continue
modifiche, proprio per il carattere intrinsecamente evolutivo delle realtà ecomuseali. Perciò per il
caso siciliano sarebbe opportuno adottare una prospettiva a medio e lungo termine per non
prediligere un modello piuttosto che un altro ma, nell’ottica della dinamicità del sistema, cercare di
monitorare, nel corso del tempo – attraverso intendi tra pubblica amministrazione, enti e comunità –
accordi strategici in base al carattere specifico del territorio.
4. Una legge sugli Ecomusei in Sicilia? Strumenti di lavoro.
In Sicilia, nonostante l’importante convegno “Giornate dell’Ecomuseo: verso una nuova
offerta culturale per lo sviluppo sostenibile del territorio”, tenutosi a Catania il 12 e 13 Ottobre
2007. In tale occasione fu presentato il progetto sull’ecomuseo urbano della città di Catania “Maaap
– l’Ecomuseo del Paesaggio” (primo ecomuseo regionale ad essere finanziato grazie ai fondi della
UE Misura 2.03 del POR Sicilia 2000-2006) – ma purtroppo, ancora oggi, non sembra essere
avviato.
In quel convegno, in cui erano presenti il Presidenze nazionale ICOM-Italia Daniele Jalla,
H. De Varine e il Laboratorio Ecomusei della Regione Piemonte, si discusse una proposta di legge
per gli Ecomusei in Sicilia.
Il disegno di legge per la Sicilia, proposto anche da Giuseppe Reina7, mutuava la legge n. 13
del 12 luglio 2007 della Regione Lombardia e presentava, ad esempio, gli stessi criteri di
riconoscimento degli ecomusei adottati dalla giunta regionale lombarda (che li individua in “15
requisiti minimi”, suddivisi in 5 ambiti: Status giuridico - Area territoriale e patrimonio - Rapporti
con la popolazione e i soggetti pubblici e privati - Attività, personale e servizi - Programma
pluriennale che lo stesso ecomuseo deve possedere, e documentare, per ottenere il riconoscimento
da parte della Regione). Tali requisiti dovevano essere garantiti anche dagli ecomusei già
riconosciuti (una volta entrato in regime il sistema), pena la decadenza dell’ammissione regionale.
Il riconoscimento della Regione Lombardia ad oggi passa anche attraverso il metodo
dell’autovalutazione, che ogni ecomuseo deve effettuare per mezzo di un apposito questionario. Il
“questionario di autovalutazione” è uno strumento idoneo di approfondimento e presa di coscienza
e diventa occasione di riflessione sulle prospettive, sugli obiettivi da raggiungere, sui servizi da
offrire alla comunità e ai visitatori e sul modo in cui le risorse debbano essere adoperate8.
7 Giuseppe Reina fu uno dei promotori dell’evento “Giornate dell’Ecomuseo: Verso una nuova offerta culturale per lo
sviluppo sostenibile del territorio” tenutosi a Catania il 12 e 13 Ottobre del 2007 come responsabile del CeDoc –
Centro di Documentazione e Studi sulle Organizzazioni complesse ed i Sistemi Locali dell’Università di Catania.
8 Regione Lombardia, “Il riconoscimento degli ecomusei”, in http://www.cultura.regione.lombardia.it/
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Siracusa.
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Tale modello di legge, pur puntando su un omogeneo modello funzionale, non è facilmente
applicabile al caso siciliano.
In questa prospettiva bisognerebbe, in prima analisi, inquadrare l’ecomuseo entro una
definizione giuridicamente accettabile9, visto che essa non ricade all’interno di un soggetto
giuridico in senso pieno – come può essere un’associazione, una fondazione o un ente pubblico
(Cfr. Gili, 2005). Se si guardano inoltre le “finalità” di ciascuna legge (ad esempio l’Art. 1 comma
3 della L.R. n. 31 del 14 marzo 1995 del Piemonte) notiamo, che gli obiettivi dell’ecomuseo
ricadono sulla concezione generale di “bene culturale”: sia esso materiale o immateriale, mobile o
immobile, pubblico o privato. Non solo, approfondendo la definizione di De Varine – ma anche il
Primo rapporto sugli ecomusei piemontesi del 2001 di Maggi – l’attività partecipativa della
popolazione locale, e dei diversi comuni, è di fondamentale importanza per l’esistenza stessa
dell’ecomuseo.
Il giurista, perciò, che osserva il ruolo di un ecomuseo – come sostiene Gili (2005) – non
può far altro che adeguarsi e ipotizzare l’utilizzo di diversi “vestiti”, diversi modelli di gestione (a
seconda della peculiarità dell’ecomuseo e del territorio in cui questo nasce), anche se la costante da
rispettare, il dna del progetto ecomuseo, risiede nei propositi di valorizzazione di realtà locali e di
partecipazione attiva agli stessi (Cfr. Gili, 2005: 25).
L’applicazione della legge regionale lombarda, in Sicilia, non avrebbe certamente consentito
una facile interpretazione per un modello ideale di ecomuseo. Non solo, da una parte, la Regione
Lombardia giunge alla Legge n. 13/ 2007 attraverso un lungo processo di riorganizzazione e presa
di coscienza della propria identità antropologica10 (come per il caso dell’Ecomuseo di Pariago, Cfr.
Del Santo, 2008) – iniziative che tuttora risultano poco impiegate dagli amministratori locali e dagli
specialisti nel campo nel territorio siciliano – e dall’altra, promuove approcci innovativi alla
pianificazione degli interventi sul territorio, come nel territorio mantovano11.
Al fine di superare l’empasse venutosi a creare, un modello “nuovo” da proporre agli enti,
pubblici e privati, potrebbe risultare particolarmente soddisfacente per la promozione e lo sviluppo
di strutture ecomuseali siciliane e non solo.
In prima analisi si potrebbe optare per un Atto di Indirizzo Normativo Regionale (cfr. Bin,
Pitruzzella: 2010: 296-297) che abbia l’obiettivo di redigere delle “linee guida” per oggettivare le
realtà ecomuseali e promuoverne l’attività in ogni singolo aspetto. Un primo spunto per queste linee
9 E come vedremo la “Carta di Catania”, un Documento elaborato in occasione dell’Incontro Nazionale Verso un
Coordinamento Nazionale degli Ecomusei: un processo da condividere nell’ambito del Convegno Giornate
dell’Ecomuseo – Verso una nuova offerta culturale per lo sviluppo sostenibile del territorio Catania 12 – 13 ottobre
2007, propone una ottima soluzione in tal senso.
10 La prima proposta di legge presentata in Regione Lombardia risale al 2001 grazie ad operatori nel campo culturale
che avevano effettuato sopralluoghi presso alcune strutture ecomuseali francesi nei pressi di Nizza (Cfr. Riva, 2008:
197-198).
11 Il riferimento è al ricorso di patti territoriali (Destra Secchia), azioni di sostegno al comparto produttivo (PISL Basso
mantovano, Piano per le attività produttive della Provincia di Mantova, Piano Agricolo Triennale), processi partecipati
e condivisi di pianificazione e programmazione (Agenda 21 Basso Mantovano), promozione del turismo culturale (Net
Tur, Portale territoriale Oltrepò Mantova, Terra di Gonzaga, Sistema turistico Po di Lombardia, Strada del Tartufo,
Strada del Riso), valorizzazione delle risorse ambientali (Osservatorio del fiume Po, Progetto Foresta della Carpaneta,
Progetto Vi.A.Ter. Vie dell’Acqua e di Terra Accordo per la navigazione del Po, Progetto Vistoria “Paysages Historiques
de l’Europe”). Si segnalano inoltre i piani di marketing territoriale strategico per l’Area Morenica (2002-2004) e per
l’Oltrepò Mantovano (2004-2006), elaborati dal Politecnico di Milano, Dipartimento BEST, Laboratorio TEMA, in
collaborazione con la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Mantova e trentaquattro comuni
della provincia, Coordinamento scientifico di Mussinelli E., Bolici R., Fanzini D. (Cfr. Riva, 2008: 203, n. 1).
Giuseppe Garro E gli Ecomusei siciliani?Il caso di Buscemi e di Palazzolo Acreide in provincia di
Siracusa.
10
guida potrebbe trovarsi nella “Carta di Catania12” in cui si discutono le problematiche sulla gestione
e realizzazione dei progetti ecomuseali. Tale documento è la risultante dell’Incontro di Biella
(2003) e dal Tavolo di Lavoro di Maniago (2006) con il contributo del Laboratorio Ecomusei della
Regione Piemonte.
In questo documento l’Ecomuseo viene definito come: «una pratica partecipata di
valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale, elaborata e sviluppata da un
soggetto organizzato, espressione di una comunità locale, nella prospettiva dello sviluppo
sostenibile» (Carta di Catania, 13 Ottobre 2007).
Partendo da questa definizione, che ricalca a pieno le finalità di un ecomuseo, l’Atto di
Indirizzo potrebbe essere uno strumento utile per distinguere i soggetti organizzati, nella visione
sopra descritta, da altre realtà che esprimono finalità prettamente museali.
L’Atto di Indirizzo permetterebbe alla Regione di testare il territorio ed approfondire i
risultati che provengono da esso. L’atto di indirizzo consentirebbe non solo di prendere tempo e
strutturare così un’idea sugli obiettivi che si vogliono raggiungere, con le strutture ecomuseali, ma
anche di distinguere gli enti virtuosi – ammessi a finanziamento – da quelli viziosi.
I finanziamenti in tal modo non sarebbero elargiti in base a criteri standardizzati, che
ridurrebbero l’attività ecomuseale ad una valutazione (giudizio o punteggio) rigorosa, ma attraverso
una rendicontazione fatta con un meccanismo che quantificava, e qualificava, le spese dell’ente
ecomuseo che saranno così trascritte, resocontate ed inviate al Laboratorio Ecomuseo13.
Il rapporto tra ente pubblico ed ecomuseo dovrebbe essere mediato – come esperienza vuole
– da un organismo che ne valuti l’efficacia, promuovendo sopralluoghi ispettivi presso le strutture,
di controllo delle spese correnti, di salvaguardia dell’autonomia territoriale e di acquisizione delle
schede autovalutative. Una sorta di un Laboratorio Ecomuseale, che fungerebbe da collante tra i due
enti per legittimare le linee guida (di tipo generale) e per la distribuzione dei finanziamenti, con la
prospettiva di aiutare le realtà neocostituenti ad essere inquadrate nell’ambito della definizione di
Ecomuseo.
L’Atto di Indirizzo, non essendo una Legge, ha una durata stabilita con atto dalla Giunta
Regionale, che promuove il progetto e ne fissa la scadenza (ad esempio sette/dieci anni). Al termine
di questo processo – che possiamo definire – di formazione, di coscienza e conoscenza territoriale,
la Regione può promulgare un nuovo Atto di Indirizzo modificando – per necessità, visto
l’accennata vivacità degli ecomusei – i punti critici che hanno promosso, o bocciato, il cammino
ecomuseale.
12 La Carta di Catania è un documento elaborato in occasione dell’Incontro Nazionale Verso un Coordinamento
Nazionale degli Ecomusei: un processo da condividere nell’ambito del Convegno Giornate dell’Ecomuseo – Verso una
nuova offerta culturale per lo sviluppo sostenibile del territorio (Catania 12 – 13 ottobre 2007) consultabile online al
sito Ecomusei.net (link http://www.ecomusei.net/attachments/article/91/Carta%20di%20Catania.pdf ultima
consultazione 28/05/2013).
13 Fino al 2010 le risorse disponibili per gli ecomusei piemontesi sono stati elargiti in base alla Legge Regionale n. 31
del 1995 (Cfr. IRES-Piemonte, Laboratorio Ecomusei, 2001). Dalla fine del 2011/2012 la distribuzione delle risorse è
stata stabilita sulla base di indicatori valutativi di cui gli stessi ecomusei sono stati promotori. Così didattica,
partenariato locale, volontariato, animazione territoriale e co-finanziamenti sono diventati indicatori utili per
comprendere le attività sul territorio degli ecomusei, che hanno trovato coerenza e riscontro nelle rendicondazioni.
Tali rendiconti poi sono stati rafforzati con una relazione puntuale e dettagliata, rispetto alle linee guida formulate in
determina regionale (n. 152 del 12 marzo 2013).
Giuseppe Garro E gli Ecomusei siciliani?Il caso di Buscemi e di Palazzolo Acreide in provincia di
Siracusa.
11
Questo slittamento di normativa permetterebbe di proporre alcune strategie funzionali al
caso ecomuseale. Una legge, pur nella sua massima apertura (come potrebbe essere quella della
Calabria), ha sempre un carattere vincolante e statico, rispetto alla vitalità degli interessi ecomuseali
– e di certo una modifica ad un Atto di Indirizzo non determina fattori destabilizzanti come può
essere una rettifica ad una legge vera e propria. Perciò il prolungamento istruttorio di un Atto di
Indirizzo potrebbe essere una risorsa utile per comprendere le possibilità e le occasioni che si
presentano lungo il percorso ecomuseale.
Così facendo è credibile che una legge in materia ecomuseale possa nascere nel corso degli
anni. In questo modo l’intero processo, che prevede la partecipazione delle istituzioni pubbliche,
della società civile e della comunità, per tramite del coordinamento del Laboratorio Ecomusei,
potrebbe costruire, per gradi, una legge specifica per il territorio siciliano.
5. Il caso della “Casa Museo Antonino Uccello” del Comune di Palazzolo
Acreide e del Museo Civico “I Luoghi del Lavoro Contadino” del Comune di
Buscemi.
5.1 Breve Descrizione
La “Casa Museo Antonino Uccello” nasce in un borgo del quartiere popolare, denominato
Mannirazzi14, nei pressi del centro storico del Comune di Palazzolo Acreide e più precisamente nel
Palazzo Ferla-Bonelli15 (XVIII sec.).
Antonino Uccello la definisce: «un museo etnografico (che) potrà notevolmente contribuire
a salvaguardare almeno in parte il materiale di studio, a educare e a sensibilizzare l’opinione
pubblica» intorno al 1971, anno in cui fu inaugurata (Uccello, 2001: 22).
Gli ambienti della “Casa Museo Antonino Uccello” si trovano principalmente al pianterreno
dell’edificio, in passato abitati dal massaro (massaio) dipendente del proprietario terriero – il quale
occupava la parte superiore dello stesso palazzo (cfr. Uccello, 2001: 23).
Ogni stanza del palazzo prende il nome di “casa” (casa ri stari; casa ri massarìa; …)
proprio come se ogni locale rappresentasse un insieme compiuto e strutturato nelle sue funzioni
tradizionali. Essa si compone di un ampio atrio, dove i carri sostavano per depositare i cereali e le
granaglie – nel quale è possibile vedere, ancora fissati, gli anelli di ferro che servivano a legare i
muli e le giumente – che si collega al cortile interno del palazzo, dove sono state recuperate due
ampie cisterne scavate nella roccia viva, che servivano a raccogliere l’acqua piovana. Da qui si
entra nella casa ri massarìa che ripercorre gli ambienti dedicati alla famiglia del massaro16 (Cfr.
14 Cioè «grandi ovili» per la custodia delle pecore (Cfr. Uccello, 2001: 23).
15 Sulla storia del Palazzo Ferla Bonelli in part. la Conferenza di Lombardo Luigi, “Palazzo Ferla Bonelli”. Dalla Casa
Museo al Palazzo Museo, Rotary Club Palazzolo Acreide Valle dell’Anapo, Sala delle Aquile Verdi, Palazzolo Acreide, 24
gennaio 2009.
16 La casa ri massarìa è così strutturata: dietro la porta sono disposte le immagini votive dei santi protettori, una
palma intrecciata e benedetta durante la Domenica delle Palme e un ferro di cavallo con fiocco rosso contro il
malocchio e la iattura. In un angolo, a destra, c’è il tipico forno in pietra (costruito al suo interno con mattoni in cotto)
senza camino affinché il fumo della stanza potesse affumicare la salsiccia che veniva appesa ad un cerchio di legno che
pendeva dal soffitto (sul forno sono sparsi gli utensili d’uso quotidiano). Al lato del forno c’è la tannura, un focolare di
pietra che serviva come cucina (con un piano di pietra calcare sul quale sono disposte suppellettili da cucina). Segue
Giuseppe Garro E gli Ecomusei siciliani?Il caso di Buscemi e di Palazzolo Acreide in provincia di
Siracusa.
12
Uccello, 2001: 25-32) unita, attraverso un porta, alla stanza definita casa ri stari, il locale «dove
stare», in cui abitavano gli sposi massari17 (Cfr. Uccello, 2001: 33-38).
A sinistra del cortile, nel punto centrale del palazzo, troviamo altri tre ambienti che
riproducono il fulcro lavorativo della vita agraria di Palazzolo Acreide: a stadda18 (la stalla), u
trappitu19 (il frantoio) e un’altra stadda adibita a stanza espositiva20.
L’ultima ala del palazzo, situata al pianoterra, è costituita da un portico, raggiungibile anche
dal frantoio, in cui sono custoditi alcuni piatti in terracotta, preceduto, a fianco, da un cortile
posteriore, che possiede una scala che porta al piano superiore – probabilmente l’accesso secondario
che conduceva agli appartamenti del padrone. In questa parte si aprono due ulteriori locali, il
piccolo maiazzè e il maiazzè (magazzino)21.
Al piano superiore, oltre agli uffici di segreteria e di direzione, si trova un altro magazzino
espositivo dove prendono corpo alcuni oggetti collezionati da Uccello e non collocati stabilmente
negli ambienti sottostanti, nonché le nuove acquisizioni effettuate dalla Regione Sicilia dopo il
198322.
La Casa Museo di Antonino Uccello fu acquistata dalla Regione Sicilia nel 1983 per
consentire la fruizione delle collezioni ad un vasto pubblico ma anche per garantirne la
valorizzazione, divenendo così il primo museo regionale a carattere esclusivamente etnografico
(Cfr. L. Lombardo, 1985: 173-191).
l’angolo della ricotta, dove una sbarra di legno, che poggia su due treppiedi, sorregge il calderone (quartara). Alle
pareti, infine, sono appesi cucchiai, mestoli, stoviglie ma anche vari utensili per la confezione della ricotta e del
formaggio (Cfr. Uccello, 2001: 25-32).
17 La casa ri stari è una piccola stanza in cui si trova il letto a due piazze, la coperta tradizionale di lana tessuta secondo
i canoni tradizionali del telaio a mano o dell’uncinetto (a frazzata). Un bastone di legno di ulivo che serviva a
smuovere la paglia – o la lana – dei materassi, una cassa di legno e il siletto, un vaso da notte di ceramica smaltata.
Alle pareti, attorno ad un crocifisso, immagini di santi che richiamano culti locali: in particolare San Paolo, patrono di
Palazzolo Acreide (Cfr. Uccello, 2001, 33-38).
18 La Stalla, a stadda, è costituita da una volta a botte e da un pavimento di roccia naturale – pareggiato in diversi
punti – in cui compaiono, all’angolo, una mangiatoia e, in diversi punti sparsi, gli attrezzi di lavoro del massaro (falci,
piccozze, martelli, aratri, pungoli, zappe, i campanacci per le mucche, ecc.) (Cfr. Uccello, 2001, 39-45).
19 Il frantoio, u trappitu, è il locale più scenografico della Casa Museo, anch’esso avente una volta a botte e un
pavimento di roccia naturale. Qui si nota, in particolare, il torchio (u counzu) e il tamburo sulla quale girava la
macchina (a mola) per la frantumazione delle olive costituite da due macchine di pietra lavica, la prima disposta sulla
base e la seconda in senso verticale, sul quale si scorge un altro piccolo torchio che serviva per il miele e la cera. Nel
locale sono anche disposti i vari attrezzi per la lavorazione dell’olio, del miele e della cera (Cfr. Uccello, 2001: 45-48).
20 In questa stanza sono infatti esposti una collezione di pupi siciliani, in gran parte provenienti dal palermitano, dei
cartelloni per il teatro popolare, particolari di carretto in legno e in ferro battuto e numerosi giocattoli. (Cfr. Uccello,
2001: 69-78).
21 Il piccolo maizzè (piccolo magazzino) serviva come deposito delle giare in cui si conservava l’olio. In questo locale
oggi sono conservati alcuni presepi artigianali (Cfr. Uccello, 2001: 49-58; sul lavoro etnografico di Uccello sui presepi
artigianali si veda: Uccello, 1970: 77-86; Uccello, 1969). Il maiazzè vero e proprio, invece, è l’antico magazzino
padronale (detto anche tammusu), serviva a conservate le raccolte annuali del proprietario terriero ma anche, per
riprendere Pirandello: tutta la «roba» tramandata e accumulata in tanti anni di fatiche ed emigrazioni. Antonino
Uccello lo adibì a “contenitore” di diverse collezioni che furono disposte su vecchi tavoli o casse d’epoca, di
produzione locale (Cfr. Uccello, 2001: 59), oggi lo stesso spazio ospita mostre temporanee di oggetti e collezioni
provenienti dai magazzini della Casa Museo – mantenendo l’assetto originario nel rispetto delle volontà del suo
fondatore.
22 Sono i locali in cui visse Uccello con la sua famiglia fino al giorno della sua scomparsa.
Giuseppe Garro E gli Ecomusei siciliani?Il caso di Buscemi e di Palazzolo Acreide in provincia di
Siracusa.
13
Il caso del Museo Civico “I Luoghi del Lavoro Contadino” del Comune di Buscemi, ideato e
tutt’ora curato da Rosario Acquaviva23.
Lo stesso Acquaviva lo definisce «Museo privato di riproposta-riappropriazione della nostra
cultura, con finalità didattiche e di sviluppo sociale» (Acquaviva, 1999b: 81) mentre altre volte
viene inquadrato nella categoria del museo “diffuso” (Cfr. Baldin, 2004: 35-40). Inoltre, anche dal
“Regolamento del Museo Civico I luoghi del lavoro contadino Itinerario etnoantropologico
intercomunale24” al Titolo I, Art. 1 si legge che «Il Museo Civico I luoghi del lavoro contadino,
itinerario etnoantropologico intercomunale, di seguito indicato solo Museo Civico, istituito a
seguito di accordo di partenariato trilaterale (Comune di Buscemi, Associazione per la
conservazione della cultura popolare degli Iblei, di seguito indicata Associazione PCI, Rosario
Acquaviva), con figura giuridica pubblico-privato, ha sede nel Comune di Buscemi e nel territorio
di Palazzolo Acreide, in locali di proprietà di privati, con materiale etnografico e documentaristico,
sempre di proprietà privata».
Esso è il risultato di 25 anni di attività, che struttura le unità museali (oggi 9) in un itinerario
etnoantropologico che coinvolge tutto il paese, dando, allo stesso tempo, al Comune di Buscemi la
singolare definizione di “Paese Museo”.
L’itinerario “I Luoghi del Lavoro Contadino” è organizzato attorno a nove unità museali
sparse sul territorio comunale di Buscemi e sono definite in base al tipo di mestiere, o di vita, che lì
si svolgeva. A casa ro massaru25 (la casa del massaio), u parmientu26 (il palmento), a putia ro
firraru27 (la bottega del fabbro), a casa ro iurnataru28 (la casa del bracciante), a putia ro
quarararu29 (la bottega del calderaio), a putia ro falignami30 (la bottega del falegname), a putia ro
scarparu e r’appuntapiatti31 (la bottega del calzolaio e del conciabrocche), l'immobile in cui vi è il
laboratorio didattico con le seguenti sezioni dedicate al: ciclo del grano, lavorare e modellare la
23 Il quale ringrazio per la disponibilità e per avermi concesso un’intervista di approfondimento durante il mese di
Aprile del 2013 presso la sede del museo. Su Rosario Acquaviva (Pedagogo), non essendoci ancora una nota biografica
in merito, mi limito a sottolineare la capacità di aver creato nel 1988 un Centro di Documentazione della Vita Popolare
Iblea (di seguito definita Associazione Culturale) che comprende circa 200 ore di filmato, 17.000 tra diapositive, foto
d’epoca, negativi in b/n e colore, frutto di ricerche sul campo svolte dello stesso Acquaviva (insieme ad un gruppo di
circa 15 persone).
24 Approvato con Delibera Comunale N. 24 del 16/11/2007 con un nuovo assenso del Comune con Delibera, N. 6 del
18/04/2012.
25 La casa del massaio è una tipica abitazione della classe contadina Iblea. È composta da quattro vani: l’ingresso (dove
si trovano alcune unità di misura e gli strumenti del mestiere), la cucina (che conserva il focolare in pietra e, ancora. gli
utensili della tradizione culinaria), la stanza da letto (con gli strumenti d’uso quotidiano) e la stanza dedicata alla
filatura e tessitura (dove compaiono alcuni corredi e gli attrezzi per il filato).
26 Il palmento si conserva integro nella sua struttura, con un torchio alla greca. All’interno si trovano una serie di
pannelli, con documenti fotografici, che illustrano la storia del ciclo della vite, il lavoro e le tecniche di trasformazione
dell’uva, dal periodo greco ai giorni nostri (Cfr. Acquaviva, 1995).
27 La bottega del fabbro si trova all’interno di un ipogeo artificiale, attiva fino alla fine del secolo scorso. Tutto è
rimasto così come fu lasciato dall’artigiano: il mantice a pedale, la forgia e gli attrezzi da lavoro.
28 La casa del bracciante, di 12 mq, rappresenta il luogo in cui vivevano, fino agli anni ’60, alcuni braccianti agricoli.
All’interno troviamo una cucina in pietra (a tannura) e sotto lo spazio per la lega e per le galline. Sopra il letto vi è il
soppalco (u suraru) che veniva utilizzato come magazzino.
29 Accanto alla casa del bracciante vi è la Bottega del Calderaio. Contiene varie caldaie, pentole, padelle, utensili per la
caseificazione, diversi oggetti e attrezzi da lavoro.
30 Nel cortile sottostante la bottega del calderaio si trova la bottega del falegname, che risulta essere stata recuperata
ed allestita con attrezzi lavorativi di una bottega di Palazzolo Acreide.
31 La bottega del calzolaio è stata musealizzata dopo la morte del proprietario, ultimo calzolaio di Buscemi. Nella
stessa bottega sono esposti gli attrezzi di lavoro del conciabrocche ed alcuni oggetti riparati dallo stesso.
Giuseppe Garro E gli Ecomusei siciliani?Il caso di Buscemi e di Palazzolo Acreide in provincia di
Siracusa.
14
pietra della Val di Noto, arte popolare, sartoria e abbigliamento popolare (Cfr. Acquaviva,
1999a). Infine, è stato inserito il mulino ad acqua “Santa Lucia”32, ubicato nel territorio del Comune
di Palazzolo Acreide.
Le due realtà, come abbiano notato, non ricadono all’interno della definizione classica di
ecomuseo (supra cit.). Sebbene siano legate alle condizioni di vita del territorio Ibleo esse
rappresentano semplicemente contenitori di tradizioni etnoantropologiche. Veri e propri musei
etnografici che si rifanno a collezioni (e luoghi) che hanno come obiettivo la conservazione del
sapere locale.
È tempo, però, che si cominci a pensare di creare delle strutture che siano in grado di
riflettere il territorio non soltanto nelle proiezioni delle raccolte o nella nostalgia del passato, ma
anche dialetticamente e dialogicamente nel presente. È importante che nei musei etnografici entri la
contemporaneità dei patrimoni viventi e che tali “beni” diventino oggetti primari degli allestimenti
secondo modalità e prassi ormai consolidate, nell’ambito delle più recenti teorie museologiche. È
fondamentale che il patrimonio immateriale, oltre a quello materiale, che vive fuori dal museo
(come possono essere le feste folkloriche religiose o profane) entri nell’attività di valorizzazione
dello stesso, veicolando tale patrimonio attraverso il linguaggio proprio della comunicazione
museale proponendo, al visitatore, costanti rinvii al territorio (Cfr. Tucci, 2004).
5.2 Uno sguardo “oltre”
Nonostante le somiglianze, e in certi aspetti vere e proprie affinità di espletamento di
funzioni, i due musei etnoantropologici – che si trovano a pochi km di distanza tra loro – riservano
alcune criticità singolari.
Come abbiamo visto, la “Casa Museo Antonino Uccello”, dopo il 1983, resta ancorata al
piano economico della Regione Sicilia, mentre il secondo, quello dedicato a “I Luoghi del Lavoro
Contadino”, ricade all’interno della gestione amministrativa comunale, in alcuni casi provinciale, e
di partecipazione volontaria.
Non solo, l’itinerario del Comune di Buscemi si struttura attorno a costruzioni private ed è
stato fondato grazie ad attività di volontariato che hanno contribuito alla realizzazione dello stesso
impianto: da Rosario Acquaviva, all’Associazione Culturale Centro di Documentazione della Vita
Popolare Iblea (attiva del 1988 e che comprende circa 15 volontari), fino a coloro i quali hanno
partecipato, in questi 25 anni, alle iniziative promosse dallo stesso museo. Per quanto concerne la
“Casa Museo Antonino Uccello”, invece, la realizzazione è avvenuta grazie agli sforzi dell’etnologo
Antonino Uccello e a quelli della sua famiglia (Lombardo, Blancato, Acquaviva, 1995). Solamente
dopo la sua morte, nel 1979, viene riconosciuto il suo “valore culturale” tanto che sarà acquisita
dalla Regione Sicilia garantendone così la configurazione originaria, all’interno della sede del
Palazzo sito in vai Machiavelli.
32 Il mulino ad acqua “Santa Lucia” si trova nella valle dei mulini, nel territorio comunale di Palazzolo Acreide. Esso è il
quarto di una serie di mulini che venivano messi in movimento dalle acque del torrente Purbella. La sua presenza
viene attestata fin dal XVI sec. Si conserva ancora integro nelle sue parti. Negli ambienti è allestito il Museo della
Macina del Grano, dove foto, brevi testi grafici, macine di varia forma e diverso periodo storico illustrano l’evoluzione
della tecnica di macinazione dei cereali, dalla preistoria fino alla utilizzazione dell’energia idraulica. Dopo decenni di
inattività, nel dicembre 2000, a seguito di restauro di tutti gli elementi tecnici, è stata riattivata l’antica attività
molitoria (Cfr. Acquaviva, 1997).
Giuseppe Garro E gli Ecomusei siciliani?Il caso di Buscemi e di Palazzolo Acreide in provincia di
Siracusa.
15
Anche per quanto concerne i finanziamenti i due musei vivono vicende differenti. Se la
“Casa Museo Antonino Uccello” può contare sulle sovvenzioni della Regione Sicilia e sui fondi
europei33 il museo civico del comune di Buscemi ha potuto far fronte alle spese di gestione
attraverso elargizioni della Provincia di Siracusa e del Comune di Buscemi34. Così mentre il primo
ha potuto contare su un’ampia rete istituzionalmente riconosciuta, il secondo, per non soccombere,
ha dovuto far fronte alle spese anche attraverso autotassazioni volontarie.
Le criticità di ambedue le strutture, soprattutto in questo periodo di crisi economico-sociale,
risiedono nel fatto che se da una parte sono venuti a mancare gli introiti provenienti dagli Enti
Pubblici (ma anche l’inasprimento degli standards richiesti dai fondi U.E.) dall’altra questi non
hanno colto i cambiamenti che venivano richiesti dalle politiche culturali in materia museale (Cfr.
Tucci, 2004). Entrambi, infatti, pur potendo contare su un ampio bacino d’utenza (scuole,
associazioni, circoli, enti privati) soffrono di una diminuzione di interesse partecipativo. I dati
confermano che, già a partire dal 2006, la presenza e l’afflusso alle due strutture, che non rientrano
all’interno di circuiti turistici noti, sono drasticamente diminuite, con ricadute in termini di
servizio35, mentre la Sicilia passava da un’affluenza del 16,7% (nel 2006 penultimo posto della
classifica nazionale dopo il Molise) al 19,9% (nel 2012 collocandosi al 15° posto)36.
Infine la scarsa partecipazione della popolazione locale sembra aver corroso quel collante
che legava l’interesse delle strutture museali con il proprio territorio, con i saperi che in esso sono
custoditi e con gli enti pubblici più in generale.
Una strategia comune, insieme ai comuni di Buccheri, Buscemi, Floridia e Palazzolo
Acreide, si era fatta spazio a partire dal 1998 presso il promontorio Ibleo della provincia aretusea.
Questa, pur puntando su alcune carenze specialistiche, aveva lanciato un modo “altro” di
valorizzare il territorio, prendendo spunto dalle particolarità della cultura Iblea che, nonostante le
differenze dialettali, resta ancorata a un genius loci che ha consentito il suo inserimento all’interno
della Heritage list dell’UNESCO il 17 Luglio 2005.
5.3 Una rete ecomuseale Iblea
33 Come ad esempio quelli POR Sicilia 2000-2006, Asse 6 – reti e nodi di servizio, Misura 6.06 internazionalizzazione
dell’economia siciliana, Sottomisura 6.06c interventi a titolarità (codice 1999.IT.16.1.PO.011/6.06c/9.3.13/0005).
34 I finanziamenti della Provincia di Siracusa sono passati da 14.000 euro (Provincia di Siracusa Presidente Marziano B.
dic. 2002) a circa 0 (Provincia di Siracusa Presidente Bono N.). Ad oggi il comune di Buscemi, con delibera n. 8 del 11
aprile 2013, sancisce la collaborazione con l’Associazione per la Conservazione della Cultura Popolare degli Iblei
attraverso un protocollo d’intesa in cui all’Art 2 si strutturano i concordati: il comune affida un sede, l’attrezzatura
multimediale, assegna un’unità di personale con un contratto di lavoro a tempo determinato e contribuisce
economicamente alle attività di promozione e di valorizzazione mediate l’erogazione, a favore dell’Associazione, di un
contributo annuo di 5.000 euro (La delibera è consultabile al link
http://www.comune.buscemi.sr.it/public//DelCC_08_11Apr2013.pdf ultima visualizzazione 2/06/2013).
35 Il Rapporto sulla Fruizione dei Beni Culturali in Sicilia per il caso siracusano denuncia un forte aumento di interesse
per il Museo “Paolo Orsi” di Siracusa che ha registrato, nel 2011, circa 280.000 presenze con un incasso superiore ai 2
milioni di euro (solo 30 mila presenze, di cui appena 13 mila con biglietto a pagamento nel 2009, Unita' Operativa III -
Area Affari Generali – Assessorato Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Dati sulla fruizione dei Beni culturali in Sicilia,
2009). Le cifre parlano però di vertiginose discese di presenze pei i musei minori che spesso sono tagliati fuori dai
grandi flussi turistici (Per un’analisi sui Dati sulla fruizione dei Beni culturali in Sicilia si veda
http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/musei/museifruizione.html ultima visualizzazione 8/06/2013).
36 È possibile consultare i dati ISTAT nel sito “Noi Italia 100 Statistiche per capire il Paese in cui viviamo” http://noiitalia.
istat.it/index.php?id=7&user_100ind_pi1%5Bid_pagina%5D=446&cHash=db9cca8979b52353b18a94fde844cf0d
(ultima consultazione 8/06/2013).
Giuseppe Garro E gli Ecomusei siciliani?Il caso di Buscemi e di Palazzolo Acreide in provincia di
Siracusa.
16
Come accennato precedentemente, i due musei sono inseriti, da diverso tempo, all’interno
del sito web della Regione Piemonte dedicati agli ecomusei “Ecomusei.net” creata dal Laboratorio
Ecomuseale nel 1998/99.
Al dire il vero queste realtà museali, il 17 aprile del 1998, si erano già riunite a Palazzolo
Acreide per redigere un progetto ecomuseale intitolato per l’appunto Ecomuseo degli Iblei
(Campanella, 1999: 87-88).
Questa iniziativa, che prevedeva una compartecipazione pubblico-privata, poneva i propri
obiettivi principali sulla «conoscenza del rapporto dell’uomo con il suo ambiente e alla
valorizzazione del patrimonio storico-artistico, architettonico-monumentale, culturale, ambientale
ed etno-antropologico, ivi comprese le attività antropiche tipiche del territorio (Campanella, 1999:
88)». Secondo questi orientamenti, l’Ecomuseo degli Iblei era destinat